L'Ai e la negazione dell'errore


Mi sono chiesta come mai, ogni volta che vedo un immagine realizzata con Ai* io la riconosca a colpo d'occhio, perché mi disturbi e mi inquieti e perché non ne percepisca la presunta bellezza. 
La riconosco immediatamente, forse, perché ho una formazione artistica, sono abituata a leggere le immagini ad osservarle con attenzione ma anche, e soprattutto, perché sono totalmente prive di imperfezioni, di piccoli residui di sporco, di quelle indicazioni che restituiscono ad un'immagine il senso di realtà, non dico di verità.
 
Il difetto o per dirla con Francis Bacon"l'accidente" che genera l'occasione creativa viene azzerato. È questo che dà quella sottile sensazione di irrealtà, di spazio senza vita. E la massiccia distribuzione di queste immagini, mischiandosi con quelle vere disabitueranno sempre di più l'utente distratto, dalla fretta e dalla velocità di fruizione dei contenuti, a riconoscerle in quel metaverso abitato per tempi sempre più prolungati da ospiti altrettanto irreali.

Questo mi porta ad un' altra riflessione relativa alla rappresentazione di se', che si pretende sia sempre più vicina alla perfezione, volti mascherati da filtri che lisciano la pelle, aggiungono colorito, allungano ciglia, arrossano labbra. 
Le riviste patinate trasformano corpi e volti a suon di Photoshop da decenni, non è quindi una novità, ma la sottile differenza nell'elaborazione dell'immagine di se' di oggi, sta nel cercare di diventare uguali al modello di base, non si tratta più di tendere verso il modello ma di diventarne il clone.

Eccola lì la cancellazione dell'errore, dell'imperfezione che attraverso il prodotto dell'Ai si sposta al nuovo ideale di uomo-clone che deve ritenere l'errore sempre come un fallimento. 
Quando l'errore viene negato e non considerato come via fondamentale per il miglioramento e la crescita, come strumento di evoluzione personale (ma anche sociale), ecco che si scorge un progetto di svuotamento delle identità, di perdita di competenze a fronte della rimozione della fatica, del sacrificio di comprendere ed elaborare.

Ogni volta che, per velocità, per restare sul mercato, per richiesta del mercato stesso, rinunciamo al tempo necessario per riflettere, ragionare, revisionare uno scritto, un progetto, un'immagine, perdiamo una competenza e questo non avviene per un'evoluzione che ci restituisce una nuova capacità a discapito della vecchia, ci porta via un pezzetto lasciando solo il vuoto.

Vedo intorno a me, ma a volte anche in me, un indebolimento interiore che ci rende sempre più passivi e incapaci di reagire, talmente abituati alla semplificazione da non essere più in grado di reggere la fatica della complessità. Sarà che invecchio e che mi spaventa osservare il mondo che lasceremo ai nostri figli.

Questo scritto, con tutti gli errori di ragionamento o di battitura, non è stato revisionato da Chat GPT o Gemini o Copilot, mi assumo pertanto la responsabilità di ciò che contiene.

*l'immagine presentata qui è stata generata da Canva con Ai.

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